QUATTRO
Romano usci
dalla galleria alle venti e quaranta, dopo aver intervistato la pittrice e aver
chiesto a Roberta il numero di cellulare. Fra il chiaro e lo scuro di un
tramonto ancora in corso, cavalcò il suo scooter
e tirò a manetta fino a casa, un bilocale che divideva con Carlo. Accese il
notebook; nell’attesa che il computer portasse a termine le lungaggini iniziali
si preparò un caffè con la moka. Aveva una sola immagine in testa, sfregiata
dalle cinquanta righe da scrivere entro un’ora. Bevendo il caffè andò su
facebook e chiese l’amicizia a Roberta.
***
Roberta
lasciò la galleria d’arte insieme a Giorgio e a una ragazza di origini
libanesi, bellissima, venuta a Milano nella speranza di fare soldi e fama come
modella. Erano le venti e cinquanta. Giorgio la accompagnò sotto casa, un
bell’appartamento in un palazzo signorile dalle parti dell’Arena Civica.
Roberta entrò, salutò i genitori (preavvisati che non avrebbero dovuto
aspettarla per cena), la sorella (diciott’anni appena compiuti) e s’infilò in
camera. Si sedette sul letto. Accavallò la gamba sinistra sopra la destra e si
piegò, per far scorrere la lampo dello stivale. Ebbe la tentazione di
toglierselo, usando come leva la punta dello stivale sinistro, ma si trattenne
e usò con delicatezza le mani. Erano stivali da duecento euro. E dopo gli stivali
la gonna e il collant e il maglioncino di cachemire. Aveva appoggiato la
borsetta sul letto. Cadde e ne uscirono il cellulare e il portafoglio. Così, in
slip e camicetta, raccolse il telefono e pensò di mandargli subito un messaggio. Scrisse ‘buonanotte’ ma non lo
inviò.
***
Il pezzo non
girava. Più guardava l’orologio, più l’ansia montava e le dita si ingrippavano.
Lo chiamò Giorgio, per chiedergli come andava l’articolo. “Cazzo, le piaci”
furono i suoi saluti.
“Come lo
sai?” chiese Romano.
“Lo so.”
Un bilocale,
due letti a distanza quasi matrimoniale, una scrivania e, nell’altra stanza,
appena più grande, un tavolo, sedie, un cuocivivande e disordine. Carlo stava
sdraiato sul letto, cuffie alle orecchie, tamburellava le dita sul ginocchio.
Anche quella musica in sottofondo, un minimo fruscio, disturbava Romano, felice
per l’ultima frase di Giorgio. Mandò un
essemmmesse a Roberta. “Vai su Youtube, cerca Alison Krauss in Shadow,
ha i capelli lisci come i tuoi…buonanotte.”
***
Arrivò a
Roberta il messaggio di Romano. Lo lesse e accese il computer. Si tolse la
camicetta, il top, sganciò il reggiseno. Aveva imparato ad amare quei seni
pesanti, dopo averli odiati da ragazzina; un’abbondanza rara in una ragazza
alta come lei. Ma non sempre metteva il reggiseno, li lasciava liberi,
camuffati sotto camice, magliette, maglioni.
Si infilò una
canotta da basket che gli aveva regalato il suo ex, verde, con la scritta
Chicago Bulls; le arrivava a metà coscia. Si sedette al notebook. Andò su
facebook e accettò l’amicizia di Romano. Corse su Youtube a vedersi Alison
Krauss. La cercò nella canzone Shadow. Le piacque, la canzone ma soprattutto la
cantante.
***
Lo chiamarono
dal giornale alle dieci e un quarto. Romano garantì che l’articolo sarebbe
partito cinque minuti dopo. Alle dieci e mezza allegò il pezzo alla mail e si
liberò di quel peso. Puzzava di fatica mentale, sotto le ascelle la camicia blu
aveva due grosse macchie, pensò di farsi una doccia, prima andò su facebook e
trovò che la sua richiesta di amicizia era stata accettata. Corse a visitare il
profilo di Roberta. Fra le note personali aveva messo solo la data di nascita,
mese e giorno, niente anno. Nello stato aveva scritto: impegnata con Amelie, il
mio micio. La foto era datata, probabilmente dell’estate trascorsa: Roberta era
in bichini, sdraiata sopra un asciugamano arancione, intorno sabbia bianca,
forse una spiaggia della Sardegna, non certo della Romagna. In bacheca l’ultima frase scritta da lei: “Giornata
interessante.”
***
Alle ventitré
bussò alla camera di Roberta sua madre. “Hai fame?”
“No, grazie…”
“Una tisana?”
“Non ti
preoccupare. Va bene la tisana.”
“Quale?”
“Regolarità.”
“Te la
porto.”
“Grazie.”
Roberta aveva
già sentito una decina di volte Shadow di Alison Krauss. Le somigliava, a parte
il naso, per quel che si riusciva a vedere dal video. Un naso decisamente più
brutto del suo. A metà canzone, Alison metteva in spalla il violino e partiva
con un assolo. Vedendola, Roberta si pentì di aver lasciato perdere con il
pianoforte, dopo averci studiato per quattro anni. Un piano verticale che ora
faceva d’arredamento alla sua cameretta, una mensola per i libri, qualche
peluche, cd e dvd. Di quella cantante ora invidiava la voce da angelo e il
violino. Su Youtube andò a cercare altri video e trovò quello di I will, con la
cantante che si era fatta la permanente, una testa piena di ricci, una variante
che non le piaceva, come non era piaciuta a Romano che aveva specificato: “La
versione con i capelli lisci, come i tuoi.”
***
Romano s’era
fatto la doccia e ora, sotto le coperte, faticava a prendere sonno. Carlo
russava. Lo toccò dentro. Il compagno di stanza mandò un mugugno, si scusò con
parole aggrovigliate nel dormiveglia, cambiò fianco, sibilò con un respiro a
fischio.
Eppure non
era bellissima. Il naso non era perfetto, le labbra le avrebbe preferite più
sottili, il rossetto era persino eccessivo. Perché Roberta gli stava
saccheggiando l’anima?
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