DUE
La prima cosa
che vide, riaprendo gli occhi, fu il calzino bucato e l’alluce nudo.
Romano si era
addormentato, vinto dalla sonnolenza del dopo pranzo. Le mille pagine di ‘Il
petalo cremisi e il bianco’ di Michel Faber gli pesavano sullo stomaco. Aveva
il collo dolorante, da pennichella senza cuscino. Quel pomeriggio di marzo gli
regalò i dialoghi di una fiction televisiva.
“E’ il
destino che ci ha fatti incontrare” diceva la ragazza, abbracciata ad un uomo
che sembrava decisamente più giovane di lei. “Credi al destino?”
E lui, con
disincanto: “Credo alla tua decisione di partecipare al concorso di bellezza.
Lì ti ho vista.”
“Allora tutto
è caso.”
“Caso o
destino cosa cambia?” diceva lui. Appariva più giovane ma dava l’impressione di
avere maggiori certezze. “Sono parole. Conta che siamo qui” e si sigillarono in
un bacio prolungato.
Innervosito dalle sequenze televisive che ora prevedevano,
dopo il bacio, lo spogliarsi e il letto, Romano cercò sulla coperta il
telecomando e spense la tele. Appoggiò il pesante volume di Faber sul comodino,
si mise su un fianco e restò in bilico fra il desiderio di continuare a dormire
e il ripasso di ciò che il pomeriggio gli avrebbe riservato. Senz’altro del
lavoro, ma cosa? Doveva passare al giornale ma era certo di avere un
appuntamento, un incontro mondano in qualche sala di Milano. Ne fece una
questione di principio: non avrebbe dovuto consultare l’agenda. Alla sua età
avrebbe dovuto ricordarselo.
Se lo ricordò.
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