DODICI
“Com’è che
quella ragazza non chiama?” domandò la madre di Roberta.
“Chiamerà,
tranquilla” disse il padre di Roberta.
“Sempre tutto
tranquillo per te” disse lei. Era seduta sul divano, telecomando in mano,
passava da un canale all’altro senza attenzione, concentrata su quella
telefonata che non arrivava. Non conosceva Romano né la sua abilità nella
guida, non si fidava delle parole della figlia, non si fidava degli altri
automobilisti. Della vita vedeva il peggio, doveva gestirsi un sottofondo
d’ansia che le rovinava le giornate. E se non poteva far altro, per difendersi
scaricava sul marito la rabbia di una vita malata. “Ma che padre sei?”
“Che padre
sono….non lo so…forse non è nemmeno figlia mia” e la mise sul ridere.
“Mi prendi
per il culo?”
Lui non
rispose.
Lei spense il
televisione, che morì dentro l’eco di una musichetta fastidiosa. “Le tue figlie
fanno quello che vogliono...da sempre.”
“Senti…” e
lanciò il libro per terra, con una violenza esagerata. Tacque.
“Non dovevamo
farla andare e basta.”
“Ma se
l’abbiamo deciso insieme?”
“Per forza,
tu avresti avuto il coraggio di dirle di no?”
“Ma lo sai
quanti anni ha?”
“Finché è in
questa casa…” e alzò il volume della voce. Lo fissò con occhi cattivi. Uno
sguardo che gli bruciò come uno schiaffo. Perché aveva un solo senso: sei un
padre fallito. Una rovina che non voleva nemmeno prendere in considerazione.
“Dillo, dillo
pure, lo so cos’hai in testa” minacciò.
“Quanti no le
hai detto in vita tua?”
“E tu?” gli
urlò in pieno volto.
“Mi sono
sempre sentita sola, è questa la verità.” Pianse.
Altre volte
si impietosiva al suo pianto stizzoso, non ora, sconfitto da un furioso
malessere. E mentre si preparava all’attacco pensò che stava sbagliando, che le
motivazioni erano ridicole ma le parole partirono senza comando, velenose. “Ne
ho piene le palle delle tue figlie e della storia del padre fallito, crepate
tutti!” e si alzò come in preda al panico. No, andarsene sbattendo la porta
sarebbe stato troppo poco. “ E vuoi che te le dica tutte?”
Lei lo
osservava con terrore.
“Solo
critiche, cazzo…un complimento…ti sei mai chiesta da quanti anni non mi fai un
complimento? Qualcosa che ho fatto che ti va bene?”
“E questo che
c’entra?”
“Hai in mente
solo le tue figlie…non te ne posso fare una colpa…ma almeno non mi rompere i
coglioni!” e si abbassò per recuperare il libro che era andato a finire contro
un mobile basso. Era preoccupato che non si fosse rotta la rilegatura. “Non
telefona, non telefona…ma lasciala vivere, ha venticinque anni, fa il suo
dovere, se non telefona è perché gli stiamo troppo addosso.”
Lei lo fissò
come un fantasma. “Continua, continua a giustificare tutto….ora fai la
vittima…credevo di aver sposato un uomo. Avanti, se hai le palle chiamala e
dille che ha due genitori…o devo farlo io, come sempre?”
“Guarda,
prego, questo è il telefono” e fece la mossa di allungarli il cordless di casa.
“Sei un pezzo
di merda!”
“Ma va là….”
e se ne andò, ma prima della porta fu preso alla gola dal senso di colpa.
L’immagine d’essere stato davvero un padre debole gli fece tremare le gambe.
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