Sedici
Accese il motore Giulio. Ora si
sentiva pronto per Matilde ma il cellulare suonò, ed era Lucia. Fece finta di
non sentire la melodia fastidiosa. Che cessò. Non per molto. Ecco di nuovo la
protesta di chi attendeva il compiersi di una promessa.
Freccia a destra, accostò dalle
parti della piscina comunale, in via Copelli, fece lampeggiare le quattro luci
d'allarme, prima di risponderle pensò a cosa dirle. Era in panico.
"Ciao...ma dove sei?"
Guardò l’edificio davanti a lui:
"Scusa...sono appena uscito dalla piscina..."
"Che fai?"
Che risponderle?
"Ci vediamo?"
Qualcosa doveva dirle...che
l'appuntamento di domani saltava? Ma Lucia voleva incontrarlo subito, quel
pomeriggio.
"Devo vedermi con Luca. Ti
richiamo più tardi."
"Alle cinque?"
"Alle cinque. Ciao." Ma
alle cinque sarebbe stato ancora con Matilde. Stava precipitando di nuovo.
Fece ripartire l’auto e si diresse
verso casa.
***
Accese il motore Matilde. Senza
fretta mosse l'auto dal parcheggio sotto casa. Era quieta, aveva del tempo
davanti. Era convinta. Poi ebbe un tremito: era comunque un passo decisivo.
Un'ora più tardi sarebbe stato tutto concluso.
Intanto pensava dove posteggiare. Il
più vicino possibile allo studio del Caravati, in corso Matteotti, ma in centro
città posteggi non se ne trovavano. Quello sotterraneo era troppo lontano dal
corso.
Ferma al semaforo guardò nello
specchietto, il suo viso e ciò che riusciva a distinguere del guidatore
dell'auto che la seguiva.
Alla fine aveva deciso di non
lasciare nulla per Giulio, nessun preavviso. Probabilmente sarebbe tornata a
casa prima di lui, a cose fatte: poi sarebbe arrivata la lettera.
'Che deficiente...' e pensava al
marito ma si distraeva con Franco, il bel collega, e si concentrava su come
sarebbe dovuto andare il colloquio con l'avvocato.
Aveva voglia di camminare. Trovò un
posteggio in via Cairoli, vicino alla scuola elementare di Biumo Inferiore,
nota perché avevano insegnato, negli anni Cinquanta e Sessanta, i maestri
Visconti e Carinella, la fama dei quali era parte della storia di Varese.
A piedi s’incamminò verso lo studio
dell’avvocato. Continuò per via Cairoli, attraversò il passaggio pedonale in
via Carcano, ancora via Cairoli. Guardò alla sua sinistra, la zona dell’area
Cagna, finalmente restaurata dopo decenni di degrado. Girò a sinistra, prese
contromano via Garibaldi. Giunse alla chiesetta della Madonnina in prato,
chiamata così perché davvero, agli inizi del Novecento, il bianco della chiesa
poteva meglio risaltare nel verde di un prato.
***
Accese il motore Altin. Due, tre
giri di chiavetta, poi la moto gorgogliò, brontolò, partì.
Ora stavano in silenzio. Prima Altin
e Sofia avevano litigato. Ma prima ancora Altin ci aveva provato.
"Quando tornano i tuoi?"
aveva chiesto a Sofia.
"Fra mezz'ora."
Ci aveva tentato lo stesso. Le aveva
raccontato la storia di Luzine, aveva accontentato il suo desiderio di
conoscerlo, ma non era salito da lei per
confessarsi. Lei, adesso, doveva accontentare lui.
Ci aveva provato e per un attimo le
era parsa disponibile. Un attimo incredibile, un'illusione persa quasi subito.
"No, Altin..." e Sofia
s'era scansata.
Aveva
insistito Altin. Sofia le era parsa non turbata (se l'aspettava?) e insieme
certa di quel rifiuto. Aveva sbagliato, forse, ma lei aveva incassato bene.
E invece no, perché Sofia aveva
sofferto, protestato. Poi era partito il litigio, così violento da annullare la
loro uscita, programmata per quel pomeriggio.
Sofia, imprevedibile, s'era calmata.
Non parlava ma aveva deciso di seguirlo, di sedersi ancora dietro a lui, sul
sellino della sua moto sgangherata.
Lui stava zitto. Non era stato
capace di chiederle scusa subito e adesso era più difficile, ora credeva d'aver
ragione. Non era il loro primo incontro: poteva pretendere.
Lei s'aspettava le sue scuse.
Attendeva in silenzio, singhiozzando ogni tanto, canticchiando sottovoce per
quietare la rabbia. Canticchiando anche Bad Day: proprio una giornata
no. E splendeva il sole.
16-continua
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