Alla caccia del reduce Antonio
Da anni il Campo dei Fiori, a ferragosto, è degli alpini, che piazzano il loro ‘battaglione’ con cucina da campo e vanno a polenta, salamelle e barbera corretto a grappa, per la gioia dei varesini. Ci salgono anche i giovani, perché la settimana alpina all’Hotel con le molte antenne è di moda, come la Festa del Rubgy di inizio giugno e altri eventi simili. Io sono un vecjo alpino, non ho fatto la guerra ma il militare sì, mortaista a Malles Venosta al tempo dei muli e dei gavettoni. Per la verità non sono un assiduo frequentatore dell’adunata estiva dei miei amici col cappello e la penna, ma un appuntamento non lo perdo mai: la Messa alle Tre Croci il giorno di ferragosto. Lì non manco, e ci devo arrivare in bici, se no non vale. Questa la cronaca: al mattino, verso le 9, apro l’armadio e prendo il mio cappello d’alpino (operazione che compio una sola volta all’anno), infilo la penna con nappina rossa (battaglione Tirano) nell’apposita sede, salgo in bici e via, sino al piazzale del cannoncino. Lì cambio la maglietta sudata, infilo il cappello d’alpino in testa e scendo all’Hotel, salendo poi alle Tre Croci. Quella Messa ad alta quota mi fa bene, è momento di ricordo del mio tempo di naja ma soprattutto è la doverosa testimonianza di amicizia verso chi ha fatto la guerra, ha sofferto ed è morto per questa nostra patria, che oggi ci sembra superflua, intercambiabile con altre terre, un indistinto spazio con un confine che non ha valore. Mi auguro ci sia il sole, così da poter veder brillare gli occhi di Antonio Porrini, classe 1912, reduce della Seconda Guerra Mondiale, 99 anni. Il 15 agosto 2010 c’era, bandiera in mano. E’ morto nel frattempo? Mi auguro di no. Ho bisogno della sua speranza, scritta come uno slogan in tutta la sua persona, dalla punta della penna nera alla punta dei suoi vecchi scarponi.
in foto: Antonio Porrini, ritratto dal fotografo Guido Nicora
La Provincia di Varese domenica 14 agosto 2011
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