DUETTO IN FAX
Personaggi:
Mario - libero
professionista, aspirante scrittore, in vacanza per una settimana in una
località montana delle Alpi
Carlotta - manager di una
ditta di pellicce
Luisa - figlia sedicenne di
Mario e Carlotta, in vacanza con il padre
Lunedì
Questo il contenuto del primo fax inviato da Mario a
Carlotta il lunedì sera, dopo la prima giornata di vacanza. In fax risponderà
anche la moglie, tutti i giorni, essendo impossibilitati i due sposi, ma soprattutto
lui, a sopportare un'assenza senza notizie oltre le ventiquattr'ore e preferendo
entrambi il messaggio scritto a quello diretto via cavo telefonico o 'cellulare'.
Carlotta carissima, credo in tutta sincerità
che questo, fra le cime, sia il luogo ideale per concludere la mia fatica. E’
l'ultimo racconto della raccolta, deve trattare di un primo rapporto completo
fra giovani. Ne devo parlare, anche se lasciare una traccia scritta non sarà
facile. E' una sfida, la mia sfida di questi sette giorni. Ho bisogno di simili
pungoli.
Non posso farti leggere testo perché nulla
ho prodotto, sino a questa sera. Forse dopo il fax... Ho solo le tante idee
dell' esordio. Penso però di essere giunto ad un punto fermo: sarà in un fienile.
Condizionato dal luogo scelto per le ferie? Si capisce, sempre ci si fa portare
al guinzaglio dal nostro vissuto. Comunque, fra tanto materiale in ebollizione,
idee che saettano come i fulmini del temporale di questo pomeriggio, fra tanta
pasta da lavorare, il lievito indispensabile è già in mezzo: un fienile. Naturalmente
aspetto, se possibile in prima mattinata, il tuo fax di risposta, il tuo
parere. E lasciami qualche suggerimento anche sull'età. Io sarei sui
sedici-diciassette lei, una ventina lui. Mi parrebbe in media. Vedi se ti puoi
sbilanciare. Un bacio. Ti sono accanto. Ripòsati e difenditi, per quel che
riesci, dall'afa ammorbante della bassa. A domani.
Mario
Luisa non
avrebbe mai e poi mai accettato di farsi sette giorni di ferie col padre. Non
voleva affatto andarci, preferendo dieci giorni al mare con Fiorella, compagna
di banco al liceo, che condivideva con lei un'ottima pagella ma che aveva, in
aggiunta, una zia con appartamento sul litorale adriatico. Eppure, nonostante
la presenza -che garantivano fissa ed attenta- della zia Sandra, nonostante
l'economicità, nonostante i tanti 'nonostante', padre e madre avevano ritenuto
più opportuni, per il bene di Luisa, sette giorni sotto il fascio di luce degli
occhi di Mario.
Luisa era
partita con una borsa piena di malavoglia e di rabbia, senza scarponi, con
tennis, jeans, crema solare, senza giacca a vento, con qualche rivista e
pochissimo altro. Il lunedì lo trascorse per metà, sino alle tredici circa, nel
tentativo infine riuscito di far morire la nausea, regalo del viaggio a
tornanti stretti; dalle tredici sino all'ora di coricarsi nella perlustrazione
dell'ambiente, anzitutto di quello del nuovo appartamento. Il minimo di confort
c'era: letto solo per lei, fori della corrente elettrica ad altezza cuscino,
spina con prese multiple, un bagno spazioso e pulito. Per la cucina ci avrebbe
pensato il padre: questa una delle tante condizioni per venire con lui. Caso
mai, con la luna giusta, avrebbe messo mano ai fornelli, ma solo eccezionalmente,
e per qualche ricetta non ordinaria.
Martedì
Caro Mario, voglio essere da subito chiara,
senza finzioni. Sai bene che il medico pietoso fa la piaga cancrenosa. Così
dico quello che penso, disinteressatamente, credo davvero solo per il bene
dell'originalità di quanto vai scrivendo. Scòrdati il fienile. Non ci siamo. Mi
sono chiesta: con tutti i posti che ci sono, proprio su quello doveva impuntarsi?
Fai come credi, massima libertà, ma per me parti male. E poi, se permetti, non
mi convince nemmeno l'età; perché se è vero che, statistiche alla mano, la
prima avventura amorosa 'integrale' vede coinvolti giovani, quando non
giovanissimi, è ancor più vero che la sottoscritta alle statistiche non crede
per nulla. Fosse dipeso da loro, la nostra ditta avrebbe chiuso da tempo, e
invece si viaggia col vento in poppa. Io alzerei di un paio d'anni l'età di
entrambi i protagonisti, chiamiamoli così. Sui diciannove lei, sui ventidue,
anche ventitré lui. Per il resto, datti da fare mio caro, perché il lunedì se
n'è già andato. Un bacio grande grande a Luisa, più uno a te. Ti aspetto questa
sera. Scappo. Ti ho dedicato il massimo concesso, sino all'ultima goccia. Ora
tocca all'ufficio. Ciao.
Carlotta
E dopo aver
misurato i locali del suo soggiorno montano, Luisa tastò anche l'esterno,
approfittando della giornata tersa. Al mattino un primo rifiuto, una prima
intemperanza di figlia verso un padre premuroso, che voleva portarsela in
passeggiata (definita da lui "un primo approccio, per preparare la
gamba") ad una malga che si intravvedeva, oltre la sommità del bosco.
"Papà" aveva risposto Luisa "non te la prendere, ma il sole dei
millesette è lo stesso di quello dei milledue. Qui, l'hai detto tu stesso, al
pomeriggio arrivano le nuvole, e allora preferisco starmene in giardino. Vai
pure, per me non ti preoccupare." Mario aveva insistito ma non più di
tanto perché ci teneva, questo sì, al passeggio con Luisa, ma ancor prima
giungeva la sua voglia di cammino, e un gradino più su stava riposto il suo
desiderio di pensare, cammin facendo, alla trama del racconto. Più che uno
scrittore da tavolino, si considerava un viandante delle lettere. Passo dopo
passo scrutava meglio: il panorama, il suo animo, l'identità dei suoi
personaggi, il filo del discorso da ricamare nero su bianco. Ragion per cui
aveva lasciato Luisa supina sopra un lettino da sole e aveva puntato alla malga,
promettendo di rientrare non dopo mezzogiorno e chiedendo alla figlia, con
gentilezza persino esagerata, di mettere sul fuoco almeno la pentola con
l'acqua per la pastasciutta.
La mattina
della ragazza fu sole, vento leggero, musica in cuffia e qualche sguardo
distratto verso l'alto, a rovistare fra i picchi e i canaloni innevati. Ma i
suoi occhi piccoli, tinteggiati con un filo d'ombretto e marcati dal rimmel, preferivano
favorire la notte, e nel buio la musica scivolava diretta nel cuore, accarezzando
i suoi desideri.
Il pomeriggio
di Luisa fu anzitutto noia. Il tempo, come previsto, si guastò. Il padre tornò
dal mattutino passeggio quasi ispirato, confezionò un pasto frettoloso, lavò i
piatti e corse in camera, al computer, senza dirle nulla più di qualche
monosillabo. Restò barricato per ore, lasciando alla figlia la libertà di farsi
un sonnellino, di leggersi tre o quattro riviste, di mandar giù altre razioni
di musica e di respirare, verso sera, facendo un giretto sotto l'ombrello,
porzioni d'aria fresca, sàlubre e umida.
Bene, ho fatto tesoro dei tuoi consigli, mia
cara Carlotta. Come altre volte è capitato, dopo le tue osservazioni mi paiono
banali le mie intuizioni, che tali non si rivelano più, meglio, che intuizioni
restano, ma poco appropriate.
Te lo voglio regalare in esordio: grazie, e
di cuore, perché partecipi, ti lasci coinvolgere da questa mia manìa. Fra i
tuoi grattacapi trovi un angolino anche per me. Te ne sono grato.
Oggi ho scritto. Non molto, per la verità,
non quanto avrei voluto, ma le idee sono più nette, come i colori dopo un temporale estivo. Via il fienile, ho
pensato ad un camper. Resta sempre il clima di vacanza, e il camper non è
troppo convenzionale. Concordo pienamente anche sull'età, che ho provveduto ad
innalzare. Dovrei esserci anche sui nomi: stranieri, naturalmente. Mary e
Peter: ti vanno? Sono preso fra due fuochi. Per un verso mi trattengo dall'assalire
il foglio perché vorrei aver chiarito meglio la trama; per l'altro, confidando
maggiormente nell' efficienza della creatività, sarei tentato di buttar giù a
ruota libera, lasciando che la trama si confezioni da sé. Non è la prima volta.
So benissimo che è dura partire. Oggi è il tempo della decisione: metter
davanti il piede destro o quello sinistro? Comunque ti faccio avere le mie
prime frasi. Vedi se il prologo ti sembra accettabile.
"Fra le tende, i bungalow e le roulotte
del camping 'Rainbow' di Mountain City (cittadina fasulla, ovviamente), il camper 'Dark Arrow' dei McGregor si
distingueva: era di portata superiore, tirato a lucido come la testa assolata
di un calvo e sempre affollato, quasi che le due figlie di John e Sara Mc
Gregor -Mary e Lucilla- fossero state capaci, nei pochi giorni di permanenza al
camping, di farsi notare e corteggiare da tutti i ragazzi della zona."
Questo e quanto. Non sarà molto, ma spero di
qualità. Ti lascio. Prima di dare il bacio della buonanotte a Luisa (che ti
saluta), vorrei scrivere ancora. A domani.
Mario
Mercoledì
Mario carissimo, ho davanti a me il sole a
filo d'antenne. S'annuncia una gran bella giornata. L'afa a me, la frescura a
te, a voi; almeno questo vorrebbe essere il mio mattutino augurio. Luisa porta
nel cuore più rimpianti o più soddisfazioni? Fammelo sapere, perché non mi ha
convinto del tutto la nostra insistenza. Sedici anni, la nostra figliola: forse
dobbiamo essere più permissivi. (Attenzione a non far leggere i fax alla
piccola).
Due parole anche per le prime righe del
racconto. Il camper...mah...starei per dirti che non mi convince ancora, ma non
vorrei essere pignola, intransigente. Soprattutto vorrei rispettarti. Come
marito l'ho sempre fatto, vorrei riuscirci anche quando indossi i panni dello
scrittore ma capisco di essere, su questo versante, più rigida. E vada allora
per il camper. Ciò che non mi convince (concordo sulla scelta esteròfila) è il
lungo elenco di nomi, uno dietro l'altro, come una mitragliata. Non tutti in un
colpo, per piacere. C'è da fare indigestione. Sarei per una presentazione della
famiglia e dei luoghi più graduale. Non credo di poter dire altro, anche perché
molto non hai scritto, per la verità, e siamo al secondo giorno. In bocca al
lupo, mio caro Moravia. Scusa, volevo dire Kundera. Non c'è ironia, credimi.
Caso mai, c'è incoraggiamento...e un briciolo d'invidia, per il vostro fresco.
Due baci a Luisa, su quelle guance che sanno di fragola e di panna. A domani.
Carlotta
Carlotta. No, non scrivo 'cara' perché, in
tutta sincerità, leggendo il tuo fax un po' di rabbia me la son messa in corpo.
Hai così da scrivere che non c'è stata ironia da parte tua, dandomi del Moravia
o del Milan Kundera. Quando saltano in mente simili auguri (che preferirei definire
battutacce), se si scava alla radice, la verità la si trova, e la verità è che
non hai fiducia in me. Intendo come scrittore. Certo, tu mi parli di due cime,
ma concedimi l'illusione di essere almeno una collinetta. Comunque non posso
pretendere ciò che non nasce dal cuore e dalla convinzione. D'altra parte tu
sei una lettrice di prim'ordine. Non hai il dono della scrittura ma quello, non
inferiore, di saper intuire i percorsi, i tragitti mentali, i trucchi, le astuzie,
le sottigliezze, diciamo l'arte di ogni autore. Assegno quindi ai tuoi pareri
il posto che meritano, la qual cosa -se i pareri mi condannano- non può certo lusingarmi.
Per fortuna ho buona volontà, pazienza e fiducia. Ho dovuto rovistare non poco
dentro di me per recuperare razioni adeguate di convizione, ma alla fine ce
l'ho fatta e lo scritto ha avuto il suo seguito. Un paio di cartelle fitte
fitte, corpo 10, tanto per intenderci.
Già, ma prima viene Luisa. Ho l'impressione
che si sia già pentita delle scenate che ci ha omaggiato alla partenza. La vedo
meno svogliata dell'usuale; non dico interessata o del tutto motivata, ma si dà
da fare per rimediare ore piacevoli. Per camminare, cammina ben poco. La passeggiata
se la gode in paese, davanti alle vetrine. Ha scoperto l'indirizzo della Sala
Giochi. Io m'ero ben guardato dal rivelarglielo, ma la piccola l'ha stanato da
sé. Dovrò usare buona parte della mia autorevolezza per dissuaderla dal buttare
al macero il tempo in quel locale di fumo e di videogames.
Ieri sera per cena ha voluto offrirmi,
graditissimi, i canèderli in brodo. Sufficienti, direi quasi buoni. Non così la
cucina. A ramazzarla c'è voluta un'ora. Ma questi giovani vanno valorizzati nei
loro slanci, bisogna invogliare iniziativa e creatività, e allora zitto e
sistema, lasciando a lei gli applausi.
Finalmente vengo al racconto. Non ti mando
lo scritto, ma i miei dubbi. I nomi li ho meglio distribuiti nel testo, secondo
il tuo consiglio. Ora mi chiedo: preservativo o pillola? La domanda vuol essere
provocatoria, e insieme vorrebbe introdurre una questione non banale. Romanticismo
o verismo? E' evidente che se tu dici 'preservativo' sporchi l'atmosfera, il
clima, la favola, il sogno, con il 'bye bye' dell'Editore, che ben conosce il
mercato e la voglia esasperata degli utenti di staccarsi almeno una spanna da
terra. Ma come tacitare la mia coscienza? O se non vogliamo scendere così nel
profondo, come soddisfare il mio desiderio di descrivere, artisticamente, la
realtà, possibilmente senza troppi tagli? Dire senza banalizzare, scrivere
senza sciupare, citare...o sarebbe meglio alludere? lasciare in sospeso?
obbligare il nostro lettore a rovellarsi? Così la domanda (preservativo o
pillola?) è fittizia, serve a me per chiederti che taglio scegliere, che via percorrere.
Non abbandonarmi in mezzo al guado. Ciao.
Mario
Luisa era una
ragazzina spigliata, al limite della strafottenza, che sapeva imbellettare
sotto una timidezza di maniera. Era un impasto in lievitazione di libertà,
timore, voglia di cambiare le regole, impazienza e dubbi, che le si paravano
regolarmente dinanzi ad ogni bivio, per ogni scelta. Non era mai netta
l'alternativa, mai soddisfacente il futuro, mai troppo negativo quanto, per
necessità, infine andava scartato. A guidarla, con voce non sempre percepibile,
alcune regole parentali, gli amici ma soprattutto l'istinto, una sorta di premonizione
che, di quando in quando, diradava le nebbie della sua travolgente e
malinconica età. La stabilità umorale era sogno di maturità. Il suo sorriso
andava a braccetto con il dispettoso sole montano, tanto brillante quando
brillava, tanto scialbo quando finiva a mollo nelle immancabili nubi. Il suo
mercoledì pomeriggio fu carico di controllata euforia. Euforia per la scoperta,
in via Roma, della Sala Giochi; controllata perché anche il miglior alloggio
dei videogames, senza la compagnìa giusta, rischia di diventare ostello di
noia. Comunque Luisa volle ficcarci dentro il suo piccolo naso, chiedendo al padre
qualche spicciolo per ammazzare il tempo davanti ai policromi computer,
nipotini dei ferri, dei gomitoli di lana e dei fotoromanzi.
Giovedì
Mario, eccomi di buon mattino al computer,
che poi diventerà fax, quindi messaggio per questo nostro dialogo a distanza,
che comincia ad appassionarmi. Anzitutto le mie scuse, di cuore. Non volevo per
nulla sminuire le tue velleità artistiche, per carità, ma capisco...capisco che
sotto sotto, nelle pieghe più riposte delle mie intenzioni, dei miei vissuti,
tu possa aver rinvenuto qualche traccia di sfiducia, di ironia, di
sufficienza... Ecco, per questi pensieri secondari, direi frutto di inconscio,
sono più che disposta a fare ammenda. So per esperienza che quando uno ha una
'fissa' (in senso buono, naturalmente. Per me è questo stramaledetto e benedetto
lavoro, che mi ammazza e insieme mi realizza)...ho perso il filo...ah, sì,
dicevo che quando uno è fissato su qualcosa, e ci crede, e quel qualcosa
diventa pane quotidiano, ecco, allora è più fragile, più sensibile, accetta con
minor prontezza e condiscendenza i giudizi...Per farla breve: scusa.
Non mi trascurare Luisa, per carità. Non
alludo alla Sala Giochi, luogo neutro, di per sé anche divertente, svagante.
Dico di approfittare per stare un poco insieme. Sarebbe arricchente per
entrambi. Il ruolo del padre è essenziale, e non credere che si esaurisca con
il naturale distacco che reclama l'adolescente (mi raccomando di nuovo: che
Luisa non legga i fax!). Anche perché, è legge di natura, le ragazze regalano
le loro confidenze maggiormente ai papà. Il terreno è in qualche misura già
arato quindi -ribadisco- cerca di approfittarne.
Preservativo o pillola? Bella domanda. Bella
non nel senso dell'alternativa di prevenzione (di per sé assai marginale nel
racconto), bella nel senso di 'romanticismo o verismo'. Bella ma, ahimé, poco
risolvibile da parte mia. Questo è il tuo terreno, mio caro. Hai voluto essere
scrittore? Pedàla! (Ora non farmi la morale anche per questo 'pedàla'. E' solo
un bacio di incoraggiamento, e così devi leggerlo.) Più verismo, meno realismo,
più romanticismo, meno romanticismo, più mistero, meno mistero, più allusioni,
più rivelazioni...sai com'è, di lettori ce ne sono di tutti i tipi, quindi il
mio consiglio si può così riassumere: lascia perdere l'utente e leggi dentro di
te. Nel groviglio dei dubbi certo si cela la via migliore, il tuo personalissimo
modo di descrivere, in questo caso, un amplesso fra giovani. Molla l'Editore,
poco più che un tipografo. L'arte non ha bisogno di simili suggeritori più o
meno occulti.
Se poi vuoi anche un consiglio nel merito
(preservativo o pillola?), da donna ti suggerisco: né l'uno né l'altro. Sai
meglio di me che i giovani, spesso, fanno largo uso della mentalità brasiliana:
prima agiscono, poi pensano. Lascia che tutto scorra nella massima
improvvisazione.
Accidenti! Faccio tardi. Mi stai chiedendo
troppo. Buona scrittura.
Carlotta
Carlotta, dolce amministratrice del mio
vissuto. Oggi è stata quella che, banalmente, uno direbbe giornataccia. Pessime
le condizioni metereologiche, al che si potrebbe arguire che uno scrittore,
dato il circondario uggioso, non ha difficoltà ad impiegare il tempo. Niente di
più errato. La mia meteopatia, il mio farmi maledettamente condizionare da sole, nubi, pioggia....ha inciso come lo
scalpello di Michelangelo sul marmo di Carrara. L'acqua battente mi ha
martellato i pensieri, me li ha traforati, spappolati. E se non abbonda la
luce, non 'vedo' più nulla.
Giornataccia perché al tempo s'è aggiunta la
malavoglia di Luisa, la sua faccia scialba, la sua rabbia compressa. Ma è mai
possibile che a quell'età si debba sciupare la vita in quel modo? Fosse stato
per lei, avrei dovuto rimpinzarla di denaro, tanto da potersene stare tutto il
santo giorno in Sala Giochi. Al mio più che giustificato rifiuto, ha reagito
nel modo più classico: sbuffate, porta della sua camera sbattuta in faccia alla
mia decisione di padre che sa essere anche un minimo autorevole, muso lungo, labbra
orizzontali, anche qualche sottaciuta minaccia. Con questo humus, nemmeno
Pasolini (faccio un nome a caso) sarebbe stato in grado di far fruttificare il
campo della narrativa. Praticamente non ho scritto nulla. Ho semplicemente
'ruminato' -come le brunalpine che qui abbondano, al pari di mosche e tafani-
le tue parole, mai superficiali.
E cominciamo dall'Editore. Sì, mia cara,
voglio cominciare proprio da Lui, da quello che tu hai elencato per ultimo,
come fosse 'il figlio della serva'. Qui tradisci la tua mai nata vocazione alla
scrittura. Vedi, Carlotta, per uno scrittore l'Editore non è un personaggio
qualunque, una comparsa, un soggetto trascurabile. L'Editore è l'uomo del fato,
che accoglie il tuo destino (in forma cartacea), che lo vaglia, che lo setaccia,
che annusa il prodotto filtrato e che dà forma definitiva ai tuoi desideri, al
guizzo, allo slancio iniziale. No, carissima, non mi accodo alla colonna dei
miei colleghi, che sputano negli occhi agli editori (hai notato la 'e'
minuscola?), con vezzi antipatici di superiorità. Gira che ti rigira anche
costoro te li ritrovi in ginocchio, a supplicare una copertina, aurea corona
delle loro fatiche. Io lo riconosco, a muso duro: scrivo anche, soprattutto per
la pubblicazione. Soldi? E che vengano, non hanno mai favorito il mal di pancia
a nessuno. Fama? Gloria? E sia pure, con la modestia e il distacco di chi ne sa
valutare l'ebrezza e la caducità. Ideali da comunicare? Messaggio da divulgare?
Scrittore-profeta dei giovani? E perché no? E tronco la questione, concludendo:
senza uno straccio di Editore, il tuo sogno resta circoscritto entro una pila
di fogli scarabocchiati, un cassetto, malinconia, depressione.
Dell'altra questione ('spetta a me la scelta
fra il verismo e il romanticismo....') te ne parlerò domani. Vuoi sapere
perché? Ho il formicolìo da ispirazione; devo prenderlo per la coda, prima che
si dilegui nei boschi. Scusa se tronco, ma è come se...no, questa non si addice
ad una signora...Vabbé, ti enuncio egualmente il paragone, scusandomi per la
grossolanità. Dicevo che è come quando proprio ti scappa, e se non ti liberi
subito...Corro alla conquista del piacere di una liberazione, per intanto solo
presagìto. Ciao.
Mario
Il giovedì di
Luisa fu il giorno più decente dei quattro trascorsi fra i monti. Felice per la
pioggia, che le aveva reso meno impegnativa l'astinenza dal sole -causa scottatura-,
lieta per la generosità del padre -depresso e più arrendevole a scucire denaro,
da utilizzare in gelateria e in Sala Giochi- aveva raccolto le premesse
necessarie per darsi da fare, vincendo quel minimo di timidezza che sino a quel
giorno le aveva impedito di trovarsi una compagnìa. Sonia, Roberto, Jessica, un
altro tipo che aveva per soprannome Tino
(forma sintetica di cretino), Marica, Franca: ecco i nomi che aveva già
memorizzato, ragazzi appena più grandi di lei (Franca aveva però solo quindicianni),
conosciuti per metà ai videogames, per l'altra metà al bar-gelateria. Quel
giovedì s'era coricata con lampi di frastuono in testa, volti, colori,
sensazioni e ricordi piacevoli. L'ultimo sentimento che riuscì, in quel
guazzabuglio, a selezionare prima di offrirsi alla dimenticanza della notte, fu
di dispiacere: la settimana era già praticamente bruciata.
Venerdì
Sai che non ti capisco? Anziché farmi
leggere il tuo racconto (che, per inciso, dato il tema, mi interessa non poco.
Cioè, mi incuriosisce scoprire come saprai sbucciare la patata bollente),
anziché regalare ai fax narrativa, mi invii le tue solite paranoie sull'Editore
in minuscola e in maiuscola. Oltretutto queste tue idee 'forti' le conosco, non
aggiungi nulla alla mia dispensa esperienziale. Se fra oggi, domani e dopo non
chini il capo e non ci dai dentro coi polpastrelli, ho l'impressione che il
clima montano dovrai ricreartelo qui in città. E sarà ben dura. C'è un tal
caldo, con un tale tasso d'umidità, con una tale afa che, se non godessi del
lusso di un ufficio ad aria condizionata, avrei già ceduto alle ferie. Sono
sintetica per necessità, diciamo per demerito tuo. Io il mio dovere l'ho fatto.
Attendo riscontri, sperando che il tuo 'furor' serale abbia prodotto più di qualche
rima velleitaria. Buon lavoro.
P.S. Per amor di verità, non posso star
zitta. Ne va della trasparenza del nostro rapporto. Risparmiami i paragoni in
epilogo, soprattutto se sanno... di carta igienica!
Carlotta
Facciamo che non ho letto il tuo ultimo fax,
che non mi è mai arrivato, che la mia è
stata un'attesa sterile. Meglio così, perché...Sì, mia cara, quello che tu
appelli alla latina, il mio 'furor'
-grazie per l'accostamento invero assai lusinghiero con il Buonarroti-
non ha fatto cilecca. Praticamente il racconto è imbastito. C'è tutto. Da
sgrezzare, da limare, da scalpellare con tocchi leggeri, da mondare, ma siamo
assai più innanzi dell'idea, della mera intuizione artistica. Non occorrerà,
mia cara, far scivolare i monti a valle. Domenica sera torno e zac...ti sparo
sulla scrivania il dischetto...anzi, prima stampo, poi di sventolo sotto il
naso i fogli, non meno di dieci.
Mi sono calmato, e allora ti chiedo scusa
per le righe di testa. Non ho voluto depennarle perché fra noi tutto si deve
sapere, perché ad ogni intemperanza possa seguire il perdono. Sì, ti chiedo
perdono, ma il tuo ultimo fax mi ha impedito di gustare i canèderli -questa
volta asciutti- che una Luisa davvero esuberante ha cotto al suo papà. Scusa
ancora, Carlotta, però una minima punizione te la meriti. E allora nulla ti
faccio sapere del racconto, se non che alla fine ho accolto il tuo consiglio
(né preservativo né pillola) e che ho optato per un 'verismo sentimentale'. Non
una parola di più. Domani rivedo il lavoro, domenica fra un preparativo e una
sgambatina si tira l'ora del rientro. Con l'ultimo fax definiremo i
particolari, anche se in linea di massima saremo in città per l'ora di cena,
traffico consentendo.
Scusa ancora per il modo ed il tono. A
presto.
Mario
Sabato
Complimenti, complimenti vivissimi! E poi le
mie scuse, sincere anche quelle. Non mi resta che attendere il vostro ritorno.
E leggere...se sarà concesso di farlo a questa moglie davvero poco rispettosa.
Diciamo pure villana. Un bacio grande come il Monte Bianco a Luisa, uno di non
inferiore altezza a te. Fammi sapere per che ora devo calare la pasta. Ciao.
Carlotta
La pasta (penne, mi raccomando!) buttala
nell'acqua in bollore non prima delle venti. Ho già calcolato una più che
prevedibile coda al casello, più una sosta di una mezz'ora all'autogrill. Sono
in ritardo con la lucidatura del prodotto, quindi sfrutto anche questo estremo
spazio serale. Voglio fare bella figura, in primis con la mia Carlotta.
Missione 'bacio Monte Bianco a Luisa' compiuta; attendo il tuo, con prevedibile
impazienza da 'carestia'. A prestissimo, ormai.
Mario
Domenica
Mario si destò
con il naso intagliato dal profilo del computer portatile, l'oggetto prezioso
che confidenzialmente chiamava not,
diminutivo di notebook. Era intontito,
con il collo dolente, con un braccio insensibile. Prese paura: s'era addormentato
sano e si destava handicappato. Sollevò l'arto momentaneamente paralizzato con
quello integro, cercò di agitare il lembo floscio del suo corpo. Con
esasperante lentezza il braccio diede segni di vita, s'informicolò, prese sensibilità.
Mario cercò un orologio: era la mezzanotte, passata da tredici minuti. Volle
uscire un istante, più che altro per sgranchire le membra prima di mettersi nel
letto, una brandina ad un metro e mezzo dall'amico cibernetico.
La notte era
da fiaba, con una luna a metà, lucente e capace di illuminare la valle e le
cime come la più tonda delle lune piene. A reggere il velo di Selene, un
alveare di stelle che intarsiavano il cielo, indorandolo.
Nel cammino,
Mario sorseggiava boccate d'aria fresca, al gusto d'erbe grasse e di fiori.
Entro quella cornice preziosa anche il suo racconto ne uscì abbellito.
Uno sgraziato
miagolìo lo fece trasalire. Zampettando come furetti, due mici erano schizzati
fuori dal portone di una stalla e scendevano le balze rincorrendosi. Grazie ai
gatti, Mario notò che vi era luce nel fienile, posto a dieci metri da lui,
verso monte. Si fece prendere dalla curiosità. 'Mungeranno a quest'ora?' chiese
al suo animo, già avvolto nella nostalgia di un ritorno verso l'afa e le
zanzare.
S'avvicinò,
non senza timore. Salendo s'aspettava il muggito degli animali alle prese con
il bovaro. Qualcosa sentì, ma erano voci di uomini, forse un uomo e una donna.
Giunto al portone semichiuso, si guardò bene dall'infilare il naso nello spazio
di luce. Si limitò ad origliare, osservandosi intorno per paura d'esser
sorpreso, sotto le stelle, a rovistare nel privato altrui. La ricezione era
assai labile, gli parve di distinguere sospiri, di tanto in tanto qualche
parola. Fra le ipotesi non scartò quella di giovani, o adulti, che avevano
scelto di fare l'amore fra l'erba secca. Naturalmente pensò anche al suo
racconto e al camper dei Mc Gregor.
Sostò qualche
altro minuto. Silenzio, solo l'inesausto ruminare del fiume. Tornò in casa.
Volle baciare Luisa, che da tempo riposava nella camera attigua. Il letto era
spoglio, nemmeno un'impronta. 'Ma non m'aveva salutato alle dieci?' si chiese
Mario, già disperato. Fece mente locale, si sforzò di rimettere insieme i
tasselli di ciò che era successo un paio d'ore prima. 'Ma sì, stavo scrivendo,
Luisa è venuta, mi ha detto qualcosa...o forse era ieri? Mi confondo? Porca
puttana, era ieri!' Mulinava pensieri e timori come un'elica di motoscafo. 'Era
ieri, certo. Stasera è uscita alle nove, in Sala Giochi...già, doveva tornare
non dopo le undici, io ho dormito...dio santo, sono le dodici e mezza...Mio
dio...' La chiamò a voce alta, tre, quattro, cinque volte. Uscì per andarle
incontro, giù in paese. Poi, fatti pochi passi verso valle, sentì una
schioppettata nel cuore. Si volse verso il fienile, lumicino ancora acceso là
in fondo. Si mise a correre. Giunse al portone, semiaperto come un istante
prima. Sempre le solite voci, lontane, non distinguibili, non catalogabili.
Doveva entrare, spalancando l'uscio con un gesto clamoroso? E se Luisa non
c'era? E anche ci fosse stata proprio la sua bambina, aggrovigliata nella
paglia con un ragazzo, era quello il gesto più cònsono?
Fece il giro
della stalla, cercò una finestra (che non esisteva), si ritrovò alla porta.
Spiò, ma da quella fenditura vedeva solo del fieno e qualche attrezzo da
contadino. Fece un altro giro, nella speranza che vi fosse qualche pertugio fra
un asse e l'altro. Nulla, nulla, e ancora silenzio. Poi una risata, o forse un
singhiozzo, comunque di donna. Mario lo tenne dentro di sé, lo rivisitò, ebbe
il sospetto che davvero poteva trattarsi della sua Luisa. Che fare? Aspettarli
all'uscita? Ma era lei? E avevano fatto l'amore, o si erano scambiati effusioni
innocenti? E se Luisa fosse tornata dalla Sala Giochi senza trovare suo padre?
Corse
nuovamente in casa. Vuota, Luisa non c'era. Indossò alla svelta il pigiama, si
mise in branda sperando che la figlia, al pari della bella Mary del suo racconto, tornando dopo la bravata scegliesse di
confidarsi con il suo papà. E Luisa arrivò, dieci minuti dopo. Attutì il suo
ritorno con grande accortezza, fece tutto al buio, si mosse come il ladro più
esperto, andò a letto senza neppure lavarsi, ignorando suo padre che, ancora
desto, regalò alla figlia anche una lacrima.
Non una
parola. Muta come il disagio di Mario, che urlava nel petto, ma all'esterno non
s'esponeva. Muta a dispetto della notte senza riposo del padre, ore eterne nel
buio a sperare che lei non c'entrasse, che fosse una beffa di coincidenze, che
la sua mente, svelta ad immaginare per manìe narrative, avesse troppo creato,
discostandosi -e di gran lunga- da una realtà più feriale.
Muta. Luisa
fece il pesce a colazione. Più riservata e scocciata del solito, finse di non
intendere (era chiaro che mentiva) le battutine del padre, lanciate qua e là
per tastare la pista. Del resto non era una novità quella sua ritrosia
mattutina, quel suo inaugurare il giorno mangiando biscotti e malavoglia. Mario
ebbe però modo di insospettirsi perché Luisa nascondeva, nel broncio, una
delusione, una pena che altre mattine lui non aveva scoperto.
Silenziosa nel
preparare le valige, operazione che concluse alla svelta, affastellando la roba
come chi deve lasciare la casa per un'alluvione.
Mario friggeva
e temeva, la seguiva passo passo, non visto, per scoprire indizi, per cercare
conferme o smentite.
Tàcita in
auto, nel rollare del mezzo sui tornanti, che lui eseguì con la massima cura
per non infastidirla, per favorire ogni spazio di dialogo. A dispetto di tante
accortezze, Luisa parlava solo per lamentarsi: "Che nausea...Che palle
questo viaggio!...Quando si arriva a casa?...Quanto manca?...Quando ci fermiano
all'autogrill?..."
Mario reggeva
una pazienza così ostinata, da stupirsene lui stesso. Ma all'autogrill, davanti
a due coppe di gelato degne del lungo-Passirio a Merano, perse ogni controllo e
prudenza.
"Senti,
Luisa" e una cucchiaiata al gusto di caffè. Poi l'attesa, per scoprire la
reazione di lei. Indifferenza, come se nemmeno avesse inteso. "Luisa, ce
l'ho con te. Hai i tappi nelle orecchie?" ma era già pentito per
quell'approccio scortese.
"Tappi?
No, no, scusami, stavo pensando..." e una leccata, gusto fragola.
Mario annegava
nell'imbarazzo. Prese coraggio dalla panna montata. "Stanotte" e un
sospiro. "Stanotte, la mezzanotte era già passata, sono uscito a far
quattro passi. Hai presente quella stalla, dopo la chiesetta?"
Silenzio, ma
Luisa aveva posato il cucchiaio, forse le era scappato dalle dita. Ancora
silenzio, poi la ragazza aveva ripreso la posata. "Una stalla da quelle
parti l'ho vista, come no."
Mario mutò
approccio. "Si può sapere a che ora sei rientrata? T'avevo detto di non superare
le undici."
Luisa sorrise,
per rabbonirlo: "Hai ragione. Scusa. In Sala Giochi non si guarda mai
l'orologio. E' gente simpatica, mi sono trovata da dio. Era l'ultima sera.
Scusami" e un secondo sorriso, dipinto in un volto rassicurante.
Mario capì
d'aver troppo creduto a convincenti congetture, solo sospetti che ora
svanivano, sostituiti dal dolce del gelato e di quel sorriso da bambina
simpatica e furba, non dissennata. Ma appresso, ecco il rovello: 'Però non mi
ha domandato cosa c'entra la storia del fienile, perché ho tirato in ballo la stalla,
ergo...Se n'è già dimenticata, o non vuole che se ne parli?' Mario la squadrò,
lesta a succhiare la crema, senza crucci, ombre, artifizi per camuffarsi. Si
autocastigò: 'Devi avere fiducia, mio caro. Ti ha detto dov'era? Sì, quindi
punto e stop. Falla finita!' Però, a ben guardare, una sgridatina quella
fanciulla avrebbe potuto portarsela a casa, perché era rientrata ben oltre la
mezza.
"Ultima
sera, ultima sera" fece il severo, "hai comunque esagerato. Dare
fiducia a voi..." Non sapeva che punizione affibbiarle così, per guadagnar
tempo, tirò fuori le sue illazioni. "Non t'ho detto del fienile?"
Luisa mugugnò
una specie di sì, ad occhi bassi.
"Verso
mezzanotte ci passavo davanti. Ho sentito dei rumori. Mi sono avvicinato. Per
me c'era dentro una coppia che..." Tornò in lui un fastidioso imbarazzo.
Ma perché mai s'era messo a narrarle quella storia? Si fece coraggio: "Per
me, ma mi posso sbagliare, c'erano un uomo e una donna, forse ragazzi, che si
stavano baciando..." Altra pausa, e nel respiro uno sguardo a Luisa, che
giocherellava con la palla al gusto melone, indifferente al racconto. Visto lo
scarso interesse, tralasciò di dirle che aveva sbirciato, che non aveva visto
nulla e tant'altro.
Lei seguitava
a tacere. Per ravvivare il mortuorio, desideroso di confidarsi con la sua
bambina, Mario pensò fosse giunto il momento di farla partecipe delle
produzioni letterarie, piatto forte della sua settimana in alta valle. Quindi
esordì: "Vorrei farti una confidenza, Luisa." Frase che sarebbe così
proseguita: "In vacanza ho scritto un racconto che parla di voi giovani.
Se lo desideri, te lo faccio leggere..."
Ma non vi fu
prosieguo. A quel "Vorrei farti una confidenza..." Luisa non resse,
lasciò cadere in terra il cucchiaio e si coprì il volto. Fra i singhiozzi,
celandosi alla vista curiosa dei molti viandanti da autogrill, disse al padre:
"Possiamo tornare in macchina?"
Dall'autogrill
a casa parlarono a lungo, padre e figlia. Lui chiamò con il 'cellulare'
Carlotta, avvisandola che, causa coda più lunga del previsto, sarebbero
arrivati tardi. Ma era una palla.
Mario,
viaggiando a cinquanta all'ora, a metà fra la corsia d'emergenza e quella dei
veicoli lenti, con il sole del tramonto impiantato negli occhi, conobbe Luisa,
il suo primo rapporto, le sue gioie, la sua delusione. Non fu necessario che le
rivolgesse molte domande: la ragazzina di sedici anni parlava da sé, con
lacrime e forse con rabbia, perché anche suo padre era un uomo, sufficiente
come capro espiatorio.
Ma sul finire
del viaggio, poiché lei non ne aveva accennato, Mario dovette rivolgerle la
domanda: "Scusa, Luisa, ma...voglio dire...lui aveva..."
"Il
preservativo?"
"Proprio."
"L’ho
obbligato."
Mario suonò al
campanello di casa inquieto e confuso, quasi fosse ammarato sopra un pianeta
che non fosse la sua rassicurante terra. La testa ribolliva. Fra gli infiniti
grattacapi (su tutti, come dirlo a Carlotta), la consolazione che quel Tino
(soprannome di cretino), cretino non aveva dimostrato di essere, se in pochi
giorni aveva conquistato la sua Luisa.
Di quando in
quando gli riusciva di pensare al suo racconto, che avrebbe voluto intitolare L'amore di Mary o Mary alla prima o qualcosa del genere. Ma gli scappava da ridere. E
soprattutto da piangere.
questo racconto è tratto dalla raccolta 'Fax d'amore' (Macchione Editore - 1998)
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