IL CARRELLO
Per prima
cosa si sincerò che ci fosse l’euro per il carrello: c’era. Lo prese e lo mise
in tasca. Poi si premurò di lasciare le chiavi dell’appartamento in auto,
perché nella tasca della giacca pesavano e non andavano confuse con le chiavi dell’auto.
‘Però se mi rubano l’auto mi rubano anche le chiavi di casa’ e allora si prese
qualche secondo di riflessone, infine decise che le chiavi dovevano stare in
auto. Raccolse i sacchetti della spesa e uscì dalla vettura, che aveva
posteggiato nel parcheggio sotterraneo del supermercato. Entrò da una porta in
vetri scorrevole e cominciò i palpeggiamenti: la chiave dell’auto era nella
tasca della giacca, a destra, il portafoglio a sinistra, la tessera per i
pagamenti nella tasca posteriore destra dei jeans, compressa contro la natica,
l’euro per il carrello nella tasca sinistra anteriore dei jeans.
La moneta gli
servì subito, fessura, scatto e via col carrello. Aveva ore davanti, nulla da
fare di programmato per quella mattina ma si mosse con nervosa velocità. Non
concepiva la spesa rilassata. Per guadagnare tempo aveva l’abitudine di
lasciare il carrello all’inizio o alla fine delle corsie, posteggio del resto
abituale per molti clienti come lui. Così fece, dopo aver depositato un casco
di banane e una confezione di kiwi; lasciò il veicolo di ferro e rotelle al
principio della scaffalatura uno, verso sud. Si diresse a nord, di fretta, alla
ricerca del cubetto di lievito. Intanto di sfiorò la natica destra: la tessera
era sempre lì. Ne approfittò per ripassare il codice, 1243, più semplice di
così? Per farsi del male volle ripetere i cinque numeri di cellulare che aveva
memorizzato, quelli dei familiari più intimi. Era una delle sue tante prove di
memoria. Raccolse il lievito, due mozzarelle, girò la corsia e scesa da nord a
sud verso il latte e il suo carrello. Lo trovò subito. Si diresse verso le
corsie davanti a lui, una lunga successione di merci perfettamente incasellate.
‘Ma le chiavi
di casa dove le ho lasciate?’ si domandò, giunto che fu al bancone freddo della
carne fresca. Tastò le grosse tasche della giacca, trovò solo quella dell’auto.
‘Le avrò lasciate in macchina’ pensò, ma il dubbio lo innervosì.
Giunto a metà
della stretta via fra gli scaffali cinque e sei trovò un ingorgo, due anziane
se la raccontavano e avevano lasciato i carrelli ad ostruire il passaggio. La
loro reazione al suo bisogno di velocità fu tardiva, il varco non si aprì, lui
non chiese ‘permesso’ ma si fermò, in attesa, con volto permaloso. Le due non
videro o non vollero vedere, lui disse ‘permesso’ cozzando la prua del suo
carrello contro le fiancate dei due piccoli mezzi di trasporto. Le anziane si
infastidirono, lui non comprese il loro risentimento ma per evitare altre soste
abbandonò il carrello a metà della corsia fra gli scaffali sette e otto, vicino
ad una penisola con le spezie. ‘Ricordati le spezie’ si disse, ma la sua mente
era già impegnata nella ripetizione ossessiva del codice della tessera, dei
numeri di cellulare, del numero della tessera bancomat e della carta sconto
benzina. Andò verso il reparto profumeria, doveva acquistare una crema per sua
moglie. Le indicazioni stavano scritto su un foglietto stropicciato. Cercò la
confezione, non aveva gli occhiali, non ritrovò alcuni dati essenziali ma non
voleva chiedere aiuto. Alla fine, con imbarazzo, si rivolse alla commessa; lei
non parve felice di dover svolgere quel compito, che considerava straordinario
e non compreso nello stipendio. La malavoglia della dipendente lo stizzì, non
disse grazie e si avviò alla ricerca del carrello, con la certezza di chi va a
colpo sicuro: penisola delle spezie. Ma in quel settore trovò tre carrelli
posteggiati, non il suo. Guardò bene, erano carrelli straboccanti, come
potevano essersi confusi? Quale mente bacata, distratta o vigliacca aveva
operato quello scambio irresponsabile? Palpandosi per il nervosismo e per
verificare l’ubicazione di chiavi e tessere, andò imbufalito di corsia in
corsia, nella speranza di trovare il suo carrello in mani nemiche. Ma
l’operazione era molto irritante. Inoltre il supermercato erano affollato.
Tornò alla penisola delle spezie e attese, certo che il buontempone avrebbe
scoperto l’errore e sarebbe tornato sui suoi passi. Per calmarsi, andò veloce a
prendere gli ultimi acquisti, una bottiglia di vino e il pane. Tornò alle
spezie dove –stranamente- erano spariti tutti i carrelli. ‘Ma porca di quella…’
pensò e parte dell’imprecazione gli scappò di bocca. Trattenne la stizza e fu
costretto a recarsi dai responsabili di settore per l’annuncio all’altoparlante,
prima volta in vita che doveva sorbirsi quell’umiliazione. Contrariamente a
quanto si aspettava, il carrello arrivò spinto non da una persona anziana ma da
un tipo sulla quarantina, con un fare da boscaiolo, malvestito e arruffato nei
capelli e nei modi, con una giacca a vento sporca e un alito alcolico. Il ladro
non chiese scusa e protestò contro il responsabile, perché non riusciva a
trovare il suo carrello, quindi andava diramato subito un nuovo annuncio. Si
separò malvolentieri del mezzo che non gli apparteneva, quasi lo volesse tenere
come caparra. ‘Grazie, se permette ne avrei bisogno’ disse il legittimo
proprietario, che si avviò alla cassa veloce: aveva infatti meno di dieci
pezzi. Ma una lunga coda lo attendeva. Fece quattro conti ad occhio, considerò
che comunque conveniva sostare lì.
Stava
nuovamente palpandosi la natica destra (quella della tessera per il pagamento)
e ripassando alcune terzine di un poeta amato (altra prova di memoria) quando
sopraggiunse un tale con in mano un sacchetto di pane e una busta con il
prosciutto cotto. Senza chiederlo, il nuovo arrivato sperava che lui gli
lasciasse la precedenza, ma la rabbia lo rese antipatico. Quello del prosciutto
disse: “Sarebbe la cassa veloce, ma è la più lenta di tutte.”
E lui: “Si
vede che c’è tanta gente che ha preso poca roba.”
E l’altro:
“Si vede che c’è tanta gente che ha pochi soldi.”
E lui: “Ha
ragione…..guardi, se vuole, passi pure.” Il dialogo lo aveva ingentilito.
“No, no,
faccio la mia coda.”
Arrivato al
momento di digitare il codice, scrisse 1234, la cassiera gli fece notare
l’errore, andò in panico, quello del prosciutto sorrise, si confuse con il
numero del bancomat ma prima di digitare ebbe l’intuizione: 1243. E lo
scontrino scivolò verso di lui.
Nell’uscire
dal supermercato sbaglio porta, fu costretto a rientrare e non trovò subito la
sua auto. Infine la identificò, la aprì, trovò con gioia le chiavi di casa, si
palpò per l’ultima volta, sentì che a destra non stava infilata nessuna
tessera, raggelò, si toccò a sinistra, sorrise. Estrasse la carta rigida color
oro, la baciò, la mise con cura nel portafoglio. Caricò la merce in auto, andò
a depositare il carrello, dentro il maschio nella femmina del carrello davanti,
zac, fuori l’euro, che gli scappò dalla mano, rotolò e andò ad infilarsi sotto
un’auto.
Disse
‘pazienza’, scivolò nell’abitacolo e fece cantare il motore.
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