sabato 7 aprile 2012
Il racconto di Pasqua
Questo mio racconto breve è già stato pubblicato nella raccolta del 1994 'L'ultimo nemico' (Lativa editore). L'ho ripreso, l'ho 'asciugato' (come si dice in gergo) e lo ripropongo qui. Vuol essere il mio augurio Pasquale ai miei amici, che abbraccio, nella speranza che Cristo sia davvero risorto, affinché non sia tutto vano.
L’USCIO SOCCHIUSO
Luigi s’era svegliato con la malinconia d’ogni lunedì. L’alba autunnale, che avrebbe incontrato più tardi sul treno per Milano, già si presagiva senza sole. Lavorava con altri duecento pendolari in una ditta d’informatica: capitali, tecnologie e metodiche aziendali nordamericane. Lavorava per dovere, da un anno a quel giorno.
Era stato costretto a risalire le scale, l’ombrello non l’aveva previsto. La pioggia, sospesa fra un cielo indefinibile e l’asfalto viscoso, per leggerezza non schioccava sul selciato, sui coppi, sulle gronde. Il clima era mite, con ricordi estivi; ciò valse a rincuorarlo.
Si mosse nel silenzio del paese. Rare automobili percorrevano l’ampia via che conduceva, a nord, verso Santa Maria del Monte e il lago Maggiore, a sud in discesa nella direzione della città. L’autobus per la stazione sarebbe transitato a breve.
Attraversò il sagrato della nuova chiesa parrocchiale. Uno dei sei cipressi che contornavano l’area s’alzava solido nel fusto ma rinsecchito alle fronde: morto. Passandogli accanto avvertì, appena sotto lo sterno, un dolore leggero, come un impiccio di camicia troppo attillata: la solita fitta, che svaniva del tutto alle porte della metropoli. Ma quella mattina gli sembrò più profonda e diffusa. Evitò la fermata davanti alla banca; sarebbe salito alla seconda, più a valle; voleva seguire il decorso di quel breve male quotidiano.
S’infilò in una via buia e stretta. A metà una piazzetta più luminosa dava voce ai colori di un’alba che non sapeva rallegrarlo. Volse lo sguardo sulla sinistra, alla facciata romanica dell’antica chiesa parrocchiale. Verificò l’ora. Il primo autobus era perso; restavano una quindicina di minuti per quello successivo.
Desiderò entrare nel luogo di culto. L’uscio era socchiuso. Sapeva di recenti restauri ma non li aveva mai verificati: né la fede né la smania di conservazione costituivano per lui argomenti d’un qualche interesse. Comunque entrò, con rispetto.
Notò una donna –sulla cinquantina, che conosceva di vista- intenta a far lustro l’impiantito rimesso a nuovo. Si salutarono con mezze parole. L’altare era a ridosso dell’entrata, pochi metri appena, tant’era ristretta la navata.
Fu piacevolmente sorpreso dalla pulizia che impreziosiva ogni cosa. Anche i fiori, benché ordinari, sapevano di adorazione verso un Dio ancora amato. Sopra l’altare, quasi sospeso in volo, pendeva un Cristo risorto.
Luigi alzò gli occhi ad una nicchia posta decisamente sopra il livello dello sguardo, troppo elevata. Conteneva la statua di una Madonna dal volto infantile, proporzionata, ottimamente rifinita nei dettagli. Reggeva in braccio il figlio bambino. Fissando l’immagine sacra della Madre, provò nostalgia per aver sciupato un’opportunità: perché aveva scelto di non credere più in Dio? Abbandonò subito le domande, perché la fitta persisteva. Il male lo obbligò ora a trattenere il fiato. Sentì la fronte fredda. Dovette sedersi sulla panca di legno. Il dolore si spense subito, sradicato da chissà quale mano amica.
Il silenzio era disturbato con grazia dai movimenti della donna, che stirava con le mani la tovaglia della mensa sacra. Luigi raccolse un indecifrabile benessere interiore. Volle pregare. Con le dita teneva la conta delle Avemaria. Aveva completato una mano quando un dolore secco, una stilettata al petto irrigidì le dita, obbligandolo a piegarsi su di sé per comprimere il torace. Sentì lontanissime, sussurrate, le parole della donna: “Sta male?” Capì che lo stava soccorrendo, che lo reggeva alle spalle tergendo il sudore dalla fronte.
Se a lungo protratto, il dolore sarebbe stato insopportabile, ma una volta ancora s’attenuò. Un urlo gli si bloccò in gola.
***
Riaprendo gli occhi, Luigi trovò un forte chiarore. Una lama di sole varcava l’uscio socchiuso, riflettendosi sui marmi.
D’istinto corse all’orologio, agli impegni di lavoro, all’autobus, al treno, al metrò, ai computer che conosceva più di sua moglie e di suo figlio. Fece per alzarsi e già il suo cuore, risanato, correva.
Una mano lo toccò alla spalla, trattenendolo.
“Siedi ancora” si sentì dire. Non era una voce di donna. “E’ domenica.”
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