domenica 15 gennaio 2012
Il fiato caldo del falò
IL FIATO CALDO DEL FALO’
Lo ammetto: da bosino doc un po’ di senso di colpa lo provo, non rispetto la tradizione, quasi mai mi scaldo al falò di Sant’Antonio. Sarà perché i miei genitori (bosini doc) avevano quattro figli da tirar grandi e la sera del 16 gennaio erano cotti. Eppure dal 1956 al 1961 la mia residenza era in via Ugo Foscolo, il fiato caldo del falò arrivava sino alle mie finestre. Poi mi sono sempre più allontanato dalla pira: Biumo Inferiore e Sant’Ambrogio. Nei miei 55 anni raramente ho assistito all’evento, demotivato dal fatto che per avvicinarsi al fuoco bisogna arrivare molto in anticipo; mi sono sempre trovato lontano, all’imbocco di via Carrobbio, con tanta gente davanti e poche fiamme da vedere. Eppure è una tradizione varesina davvero di lunga data, molto sentita. La mia prima figlia, Valentina, è nata proprio il 16 gennaio, tenuta a battesimo dal falò. E fra l’altro ho saputo di recente, da confidenze di amici, che Sant’Antoni dul purscèll, di tanto in tanto, fa la grazia, soddisfa i desideri scritti su carta e inceneriti dalla voracità del fuoco. Dovrei tenerne conto, chissà mai che domani mi avventuri in centro, tenendo in mano speranze espresse in lettere. A proposito di falò, so bene che questa è una tradizione di tutto il mondo, è un’usanza diffusa: il fuoco che brucia in inverno, che dà calore, luce, che brucia il brutto, il vecchio e attira il bello, il nuovo. Ho anche avuto modo di assistere anni fa ai fuochi in uso in terra trevigiana. Loro li chiamano ‘panevìn’, sono di dimensioni modeste, più piccole del nostro falò della Motta, bruciano in tutti i paesi della bassa, scorre vino, pane salame e, naturalmente, grappa. Pur essendo un bosino non ligio al dovere, ringrazio i Monelli della Motta (in particolare l’amico Angelo Monti) per il loro impegno, che arde sempre.
La Provincia di Varese domenica 15 gennaio 2012
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