Ho ritrovato questa bella poesia di Umberto Saba, che avevo messo da parte alla fine degli anni Ottanta. Noto (anche con un po' di piacere) che mi rappresentava più allora di adesso.
LA MOGLIE
Quando triste rincaso e lei m'aspetta
alla finestra, se la bella e cara
moglie, ad un gesto, il mio male
sospetta,
se il disgusto mi legge, od altro, in
faccia,
tosto al mio collo le amorose braccia,
come due serpi vigorose, getta;
me solo accusa la sua voce amara.
"E' così -dice- è così che mi torni.
Non un bacio per me, non un sorriso
per tua figlia; stai lì, muto, in disparte;
si direbbe, a vederti, che tu hai l'arte
di distruggerti. Ed io...guardami in viso,
guarda, se alle parole mie non credi,
questi solchi che v'ha lasciato il pianto.
Ero qui sola ad aspettarti; intanto
la nostra casa io l'ho rimessa, vedi?
come nel primo giorno.
Ma tu già non m'ascolti. Che passione
e che rabbia mi fai!
Non s'ha il diritto, sai,
quando si vive con altre persone,
di tenere per sé le proprie pene;
bisogna raccontarle, farne parte
ai nostri cari che vivono in noi
e di noi."
"Quanto, quanto m'annoi",
io le rispondo fra me stesso. E penso:
Come farà il mio angelo a capire
che non v'ha cosa al mondo che partire
con essa io non vorrei, tranne quest'una,
questa muta tristezza; e che i miei mali
sono miei, sono all'anima mia sola;
non li cedo per moglie e per figliola,
non ne faccio ai miei cari parti uguali.
Umberto Saba
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