mercoledì 6 aprile 2011

IL RACCONTO DEL MERCOLEDI'

LA FETTA

Sono quella fetta che nasce torta e poi, di fetta in fetta, s’assottiglia, il cerchio si svuota, spicchio dopo spicchio aumenta il vuoto e diminuisce il buono…mezza torta…un quarto di torta…..fette sempre più sottili e allora, solo allora arrivo io: larghezza un paio di centimetri, anche meno, visto che il soggetto che mi cura mi ha da poco privata di una fettarella di mezzo centimetro. Resto sola. In quell’attimo giunge la mia gloria. Sono, a quel punto, per defezione o ‘defunzione’ delle altre, la più preziosa, desiderabile, foriera di golosità.

Il soggetto goloso, incurante di essere alla frutta, mi guarda di striscio e intanto parla, sorseggia dell’altro vino o la residua porzione di caffé. Mi soppesa, mi valuta, fa un sommario conto delle calorie, guarda altrove, mi vorrebbe gettare dalla finestra, vorrebbe che altri mi violentassero (e in effetti sento addosso il peso di sguardi carichi di quella finta fame finale inutile e dannosa, di quel languore appetitoso che arriva ben oltre la sazietà, di quel vizio da cibo), vorrebbe potermi evitare ma nessuno mi vuole, quando tutti mi vorrebbero.

Così lui non può fare a meno di me. Preferirebbe forse consumarmi a fettine millimetriche, nella pia illusione che tante piccole porzioni siano meno caloriche di una sola fetta. Tenta allora di dividermi a metà ma goffamente, così mi sbriciolo, lui che avrebbe voluto dire “Chi si fa l’ultima fetta?” a quel punto, complice il mio disfacimento, mi prende e mi addenta. Già in quell’ultima ingordigia si sta pentendo, perdendo così, e stupidamente, almeno un cenno di piacere finale. Pentito, ma ormai la fetta è fatta.

Sono l’ultima fetta di una torta. Quella, per intenderci, che tutti vogliono e che tutti, infine, dopo il peccato, disprezzano.

Nessun commento: