Al tramonto (quello della foto è alla Schiranna) spesso tornano in me le parole del Salmo: "Alla sera sopraggiunge il pianto, ma al mattino ecco la gioia". Nella stanchezza svogliata della sera, ciò che faccio perde d'importanza. Si veste di mediocrità. S'impone il desiderio di scelte più radicali, più essenziali, più rischiose. Ma non ne sono capace.
Torno al mio racconto lungo. A 'Vicolo Canonichetta'. Riporto qui parte del mio intervento di venerdì 30 marzo, a Villa Recalcati:
"Preferisco leggere ciò che vorrei comunicare. Del resto un narratore, se sapesse comunicare compiutamente con la parola orale, probabilmente non scriverebbe. La scrittura supplisce qualcosa che manca. Torno alla narrativa lunga dopo dieci anni. Dal '97 ad oggi, per la verità, ho scritto molto, anche troppo: articoli per il settimanale 'Luce' e per il quotidiano 'La Prealpina', ricerche di storia locale, racconti brevi...Quando non si scrive su commissione; quando si scrive per il piacere, per il desiderio di scrivere una storia d'invenzione, non bastano la buona volontà né la caparbietà né il rigore di un impegno costante né la voglia di farlo. Occorre qualcosa d'altro. Una forte emozione che ribalti la tua calma piatta. Nel caso di 'Vicolo Canonichetta' si è trattato di un incontro con la sofferenza. E' giunta infine l'ultima goccia, e il vaso è traboccato. Ciò a partire dall'estate del 2005, e per un lungo periodo...Questo racconto è uno dei frutti di quella tempesta. Ho pensato, e poi ho scritto, questa storia anzitutto per non disperdere, nella dimenticanza, vissuti che oggi, con il ritorno della quiete, rischiano di sdrammatizzarsi, nell'attesa forse di una nuova bonaccia e di altre burrasche. Per non dimenticare, e per raccontare ad altri che certe prove nella vita fanno molto male e molto bene allo stesso tempo. Il coraggio, qualsiasi atto di coraggio (tanto desiderato quando mi capita di rileggere la mia mediocrità) forse deve molto allo smarrimento delle sicurezze..."